5 - Meditazione


Chi non si cura del risultato dell'azione quando agisce, ed esegue l'azione che è suo dovere fare, questi è colui che rinuncia, non chi abbandona l'azione stessa. Nella rinuncia così fatta sta il metodo di concentrazione e pratica, non si può essere praticanti senza rinunciare al desiderio dei frutti dell'azione

 

Quando non si aderisce più agli oggetti dei sensi e ai risultati degli atti, allora, rinunciato ad ogni desiderio, si è giunti alla corretta pratica. Colui che ha vinto sé stesso ha ottenuto la purificazione e rimane concentrato in perfetto equilibrio fra i contrari: freddo e caldo, piacere e dolore, onore e disonore

 

Chi è moderato nel cibo, nell'azione, nel sonno e nel piacere, a lui appartiene la pratica che distrugge ogni sofferenza. Abbandonando i desideri, padroneggiando con la mente i sensi, sospendere lentamente il pensiero, fissando la mente nel sé, senza pensare a nulla

 

Da qualunque cosa la mente agitata sia attratta, bisogna riportarla alla sottomissione nel sé: la felicità suprema pervade l'asceta dalla mente pacificata, che calmata la turbolenza interiore diviene senza macchia

 

Sé stesso in tutti gli esseri, tutti gli esseri in sè: questo contempla colui che ha l'essere unificato dalla pratica e volge a tutte le cose uno sguardo uguale

 

Non vi è alcuno che, autore di belle e buone azioni, incorra in un cattivo destino


 

5.1

Nella meditazione si costruisce la rinuncia come accettazione totale degli esiti dell’azione.    

Nella meditazione ci si osserva dall’esterno, distaccandosi dai sensi, riconoscendone la natura condizionata e illusoria.

 5.2

I pensieri come turbini incontrollati che cercano di governare la realtà si placano nella meditazione, e la mente vuota è pervasa dal solo senso del Sé, ciò che rende vivi scaldando il corpo.

5.3

La felicità è la sensazione indicibile di pace e serenità che deriva dalla percezione del Sé come l’unica realtà del nostro essere viventi.    

 

Alla felicità consegue la visione e la comprensione che ogni essere è animato dal Sé, e che tutti gli esseri viventi sono uno, ma che nessuno attorno a sé lo sa. Eppure non importa, perché questa comunione che nasce nella meditazione non ha bisogno di altri, di parole, di socialità: meravigliosamente, silenziosamente è, come un sorriso leggero che sorge sul viso senza un perché.

 5.4                                        

Compreso che tutto è uno e tutto ciò che accade è uno, il destino ci appare soltanto come lo svolgimento del nostro compito, ciò per cui siamo nati, ciò che ci fa sentire migliori oltre le nostre debolezze.

 

La certezza che seguendolo non ci potrà accadere niente di sbagliato riscalda il cuore, rinsalda nelle avversità che altrimenti ci trascinano, come un fiume in piena sovrasta deboli argini eretti da uomini presuntuosi.

 5.5                                       

Tutto ciò che accade, accade per il nostro compimento, che non corrisponde ai nostri desideri coscienti ma è il nostro destino, se vogliamo chiamarlo così, o solo insignificante casualità che appena increspa la superficie, se vogliamo definirla diversamente.

 

Una volta compreso questo i desideri, pur umani nella loro ambizione di godere e non soffrire, sbiadiscono di fronte all’intento nel dare seguito a quanto ci accade, nel farci guidare dal nostro capriccioso, indecifrabile destino.